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GRANA PADANO LODIGIANO: un po’ di storia

Chi vuol del buon formaggio a Parma vada,
A Piacenza, a Milano, è in quelle bande,
che ve n’è sempre piena ogni contrada….

 
Così scriveva  Ercole Bentivoglio, letterato,  nel 1546 nel poema “Del formaggio” quando faceva parte della confraternita gastropoetica. Essendo bolognese aveva una schietta antipatia per le vacche da latte di Parma, Reggio e Lodi e mai scrisse un rigo di elogio per i loro prodotti. Tuttavia, è proprio da queste lande basse e umide, verdeggianti di prati e marcite fumiganti nebbie da ottobre a febbraio, che vengono erbe profumate, ricche di minerali e vitamine.

Della fecondità di queste terre ne erano sicuri i frati cistercensi e benedettini  che qui nelle nostre terre innalzarono molte abbazie in posizione strategiche: Chiaravalle, Mirasole, Abbadia Cerreto, Ospedaletto Lodigiano, solo per citarne alcune.

Dopo avere trasformato le grandi paludi che si estendevano fra Milano, Lodi  Crema e Piacenza – documenti raccontano che il grande lago Gerundo  molto esteso e poco profondo, lambiva queste città medievali – in fertili terre, la nuova tecnica agraria della marcita dava la possibilità di avere l’erba fresca in aprile-maggio, il maggengo. La tecnica della marcita consisteva nell’inondare i prati di acqua ed allo scopo questi prati erano percorsi da piccoli fossati distanti una quindicina di metri uno dall’altro. In questo modo l’erba non gelava d’inverno e quando a marzo, a San Giuseppe veniva tolta l’acqua, l’erba diventava rigogliosa ed era pronta per il primo falcio a maggio. Il fieno in cascina, che era servito per alimentare le vacche durante l’inverno, stava per finire e in questo modo era pronta l’erba fresca, parte veniva consumata e parte trasformata in fieno e messa in cascina per l’inverno. Oggigiorno le marcite non esistono quasi più perché sono state sostituite dai campi coltivati a mais, entrato di forza nell’alimentazione bovina come trinciato.

Giunti alla conservazione dell’elemento primo per il bestiame, bovini e ovini in minor numero ed aumentata la produzione del latte dovevano pensare a conservare le proteine per l’inverno o meglio per i lunghi periodi di eventuali carestie. I formaggi freschi venivano consumati o dati come merce di scambio nel volgere di qualche settimana, mentre il latte caseificato con il caglio scoprirono che poteva essere conservato per lungo periodo senza che questo s’inacidisse. “Era un formaggio duro, non di bell’aspetto, con grana grossa di colore scuro”. Nelle terre lodigiane si è da sempre prodotto il “granone” dalla grana grossa, pastosa. Ma il grana di queste terre lodigiane veniva identificato come “piacentino” e documenti dell’epoca riportano che alla corte di Maria Luigia di Parma i nobili apprezzavano il piacentino  che costava denari 1 mentre il reggiano che costava 0,80 centesimi veniva venduto sui mercati ai popolani.

 



GRANA PADANO, LODIGIANO O “GRANONE”
DALLE RICCHE PIANURE DEL LODIGIANO UNO DEI TANTI PIACERI DELLA TAVOLA
Nel moderno caseificio Zucchelli di Orio Litta – un’impresa familiare nata negli anni Trenta -  un’equipe di casari, capeggiati dal maestro Ambrogio Abbà, lavorano, ogni giorno, 30mila litri di latte fresco.
Per latte fresco si intende quello raccolto dopo un’ora dalla mungitura e proveniente da stalle elette e mucche selezionate. Vale a dire che questi bovini devono esser alimentati con un disciplinare ben preciso, vivere in ambiente sano e curati come se fossero bambini.” Per avere un prodotto di ottima qualità, come deve essere  il nostro grana padano dopo i 18 mesi di stagionatura – dice il proprietario Alberto Abbà – sono molto i disciplinari che devono essere osservati in tutta la filiera, dalla nascita della mucca, all’alimentazione, alla raccolta del latte, che viene trasferito automaticamente dall’autobotte alle vasche di affioramento”.
D’inverno il latte è più ricco mentre d’estate è più povero, dipende dall’alimentazione. Il latte riposa per 12-14 ore nelle vasche di affioramento dove si screma. Il latte scremato viene poi stillato e fatto convogliare nelle caldere per la lavorazione del grana, mentre con le parti grasse affiorate si fa burro, panna e mascarpone. E’ appunto con il latte scremato che si fa il grana padano lodigiano che contiene il 32% di grassi mentre quello reggiano si fa con il latte intero. Oggigiorno che l’alimentazione quotidiana è già ricca di molte proteine, il grana padano lodigiano è consigliato nelle diete di coloro che devono assumere per malattie varie (come colesterolo alto) pochi grassi o per mantenersi in “linea”. Inoltre sono molte le malattie che ne consigliano il consumo, come l’osteoporosi ed particolarmente indicato nelle pappe dei bambini nella prima infanzia.
NELLA CALDERA
Abissi ramati profondi dai 2 ai 23,50 metri profumano di latte bianco che lentamente viene portato alla temperatura di 38°C.
Il maestro casaro aggiunge i fermenti lattici vivi ed in medesime percentuali l’enzima coagulante, il caglio, estratto dall’abomaso di vitelli allevati a latte. Dopo 8-10 minuti avviene la coagulazione che è una reazione biologica fra caglio e latte, che da vita al caseinato di calcio: il formaggio. Durante il processo di coagulazione la temperatura dai 32-34° viene elevata ai 54°C. La massa di latte che si sta trasformando in formaggio è continuamente rimestata dalla rondella, i granellini che si formano sono della grandezza di un chicco di riso. La maestria del casaro sta quindi nel tastare con le dita la consistenza dei granellini che formano la pasta fine del grana padano. Segue poi una fase di spurgo, cioè di disidratazione della cagliata. Il lavoro si fa febbrile. Dall’aggiunta del caglio alla cottura passano circa 18 minuti. Con un secchio si toglie il siero che viene lasciato a riposo per 24 ore con i fermenti lattici vivi, che serviranno per la lavorazione successiva. I fermenti lattici da siero sono utili perché creano un ambiente acido auto sterilizzato: da pH 6,00 a pH 5,10 in 24 ore. Il siero viene scremato ancora una volta. La parte grassa viene utilizzata per fare il burro ed il residuo serve da nutrimento per i maiali. Spesso la cascina della casera ha anche una grande porcilaia che assorbe questi sottoprodotti adatti all’alimentazione animale.
IL CASEINATO DI CALCIO
Ora il composto che è rimasto nella caldera ha una consistenza gommoso-morbido ed è pronto per essere tagliato con la gemellatrice. Sopra la caldera vengono approntati i teli bianchi sterilizzati e la macchina che taglia perfettamente in due parti il contenuto della caldera.
Le due future forme di grana padano o grana padano lodigiano vengono lasciate appese a scolare e dopo poco portate su tavoli per essere strette nelle fascere di plastica.
FASE DI RASSODAMENTO E MARCHIATURA
Le forme si lasciano spurgare per due giorni su un piattello di legno, poi si cambiano le fascere di plastica e si stringono in quelle di acciaio bombato nelle quali sono incise le scritte ed il marchio. Viene inoltre apposta una cialda di caseina con numero di matricola della singola forma, a garanzia di tracciabilità della D.O.P..
LA SALATURA
Le forme vengono immerse su gabbie d’acciaio  in acqua salata in lunghe vasche. Il sale utilizzato viene fatto appositamente venire dalle saline pugliesi di Margherita di Savoia, di ottima qualità. Il locale è ampio ed areato. Un tempo le forme venivano girate a mano ogni giorno. Con il vecchio sistema l’operazione durava un mese, ora venti giorni. Il sistema moderno consiste in un lungo pianale d’acciaio forato sul quale vengono posate le forme di grana, sopra queste un altro pianale forato di modo che l’acqua salata tocchi tutte le parti e le indurisca in modo uniforme.
LA CAVATURA
Dopo venti giorni le forme vengono tolte dalle vasche di acqua salata, strigliate e posate su lunghe assi di legno d’abete austriaco rosso a stagionare per 14-15 mesi. “ Accarezzando con il palmo della mano la superficie piatta – dice Alberto Abbà - si riesce capire con il semplice tatto se quella morbidezza e consistenza promettono un’ottima forma e perfetta stagionatura”.
LA STAGIONATURA
Il grande capannone ha una temperatura costante di 18-17°C ed è ben areato. Da questo momento le forme diventano come i bambini, curate e tenute costantemente sotto controllo. Una volta la settimana una macchina robotizzata prende una forma, la spazzola e la ripone girata dall’altra parte. Verso il nono mese s’incomincia a capire se una forma matura bene oppure se ha difetti e deve essere scartata. Con un martelletto si tastano le forme (come si fa per sentire se un’anguria è matura), se suonano bene significa che stanno maturando in condizioni ottime, quindi il Consorzio metterà il marchio di qualità. Ogni forma racchiude in se tutte le sostanze organolettiche e le qualità di 500-550 litri di latte. Se si considera che ogni mucca produce una trentina di litri di latte al giorno, almeno 20 mucche si sono prodigate per il prodotto base. Nell’azienda che ho visitato accompagnata dal proprietario Alberto Abbà, vengono prodotte una novantina di forme di grana al giorno, ed ognuna di esse ha impresso il giorno di produzione. Ogni forma pesa dai 36 ai 37 chilogrammi, vale a dire che per un chilogrammo di grana padano ci vogliono 15 litri di latte circa.
Una forma  è quindi un concentrato prezioso di proteine e vitamine, non sofisticate, basti pensare che le uniche sostanze aggiunte sono caglio e sale. I pediatri consigliano il grana padano a bambini e ragazzi perché è ricco di proteine essenziali: la A, la B1, la B2, la PP e la E. Un valido supporto alla formazione dell’ossatura dello scheletro e dei denti è dato dal calcio, di cui è particolarmente ricco, e per la memoria il fosforo. Il particolare sapore stuzzichevole rimuove l’inappetenza e spesso si trova in piccole schegge anche sulle tavole e sui banchi all’ora dell’aperitivo.
Il Grana padano e il grana padano lodigiano essendo formaggi semigrassi sono adatti agli anziani soprattutto per le ossa essendo ricchi di calcio solubile, che è presente nella forma di lattato di calcio.   In caso di fratture ossee i traumatologi consigliano il consumo giornaliero del grana padano , per una celere guarigione. Questo formaggio semigrasso, ben stagionato, è protagonista non soltanto in tavola ma anche nello sport. Il Prof: Bruno Berra, noto dietologo dell’Istituto di Fisiologia Generale e Biochimica presso la Facoltà di farmacia dell’Università di Milano, ha svolto nella sua lunga carriera molte ricerche scientifiche, e in una di queste ha tratto valide indicazioni sulle proprietà nutrizionali del Grana Padano: “Le proteine sono ad alto valore biologico simili a quelle del latte ma migliori dal punto di vista nutrizionale perché predigerite dagli enzimi”. Essendo un formaggio semimagro, precisa il dottor Berra, è indicato per tutte le età dalle prime pappe alla tarda età.
APPORTO NUTRIZIONALE PER 50 GR. DI GRANA PADANO
Calorie         (Kcal)      194
Proteine        (g)           16,4
Grassi           (g)           14,2
Colesterolo   (mg)        70,0
Valori medi di sostanze nutritive in 100 grammi di grana padano:
Proteine gr.33; lipidi gr. 28; acqua gr 32; calcio mg. 1150; fosforo mg. 690;
ferro mg. 0,140; sodio mg. 720; potassio mg. 120
Vitamine: A  U.i: 650; B1 mg 16,9; B2 mg. 360; PP mg. 3,4; E mg. 206
Acido Pantotenico 246; Valore energetico (Kcal per 100 gr. di formaggio) 382 di cui 248 da grasso e 134 da proteine
Zuccheri  assenti.

E QUANDO LA FORMA DI FORMAGGIO NON RIUSCIVA SI RICAVAVA LA “RASPADURA”. OGGI SI UTILIZZANO FORME DI PRIMA SCELTA.
Un vecchio proverbio lodigiano che sintetizza la parsimonia leggendaria dei lodigiani, gente che da sempre ha vissuto di agricoltura affidando la propria sopravvivenza ai  prodotti della terra, dice:
“Ludesan, largh de buca, strett de man”. Tradotto suona così: I lodigiani sono grandi mangiatori, ma lo vogliono essere con poca spesa.
Tirchieria e preveggenza hanno improntato anche la gastronomia laudense e non pochi piatti tradizionali trovano la loro essenza nell’uso intelligente di avanzi e i pietanze. La raspadura è appunto uno di questi prodotti: i trucioli di formaggio grana lamati con vigore da una giovine forma per niente stagionata erano spesso l’unica pietanza che insaporiva la polenta, regina della tavola.
Dopo la salatura le forme di formaggio grana del tipo lodigiano venivano collocate in casera per  la regolamentare stagionatura. Alcune, a causa di una fermentazione anomala si screpolavano divenendo così inadatte alla stagionatura che, anni fa durava fino ai tre anni. Di qui la necessità di non mandare perduto il prodotto non perfetto. I parsimoniosi lodigiani pensarono di utilizzare la forma ancora inconsistente, raschiandola con una lama di acciaio e di mettere in vendita i trucioli ottenuti, o meglio larghe sfoglie color paglierino, morbide e saporite al palato.
La raspadura aveva molto successo nelle osterie in quanto, la non ancora persa salatura rendeva il prodotto particolarmente saporito ed invitante al buon bere. Il vino solitamente era quello prodotto dai vicini Colli di San Colombano, ora diventati pregiati vini D.O.C della provincia di Milano, oppure vini del pavese o piacentino.
Fino agli anni Sessanta per le strade del lodigiano era facile incontrare con arrotini e ombrellai, venditori di acciughe e merluzzo salato, caldarrostai ed altri venditori ambulanti il cui mezzo di trasporto era la bicicletta o un triciclo. Il venditore di raspadura (lo possiamo chiamare ‘raspadore?’ girava di preferenza il venerdì, giorno di magro, con la forma di grana appoggiata al manubrio della bicicletta, coperta da un pesante panno bianco o una tovaglia a quadretti rossi. Promuoveva il suo prodotto gridando con un bel vocione“ràspadura!” sul far del mezzogiorno quando quasi tutti si apprestavano al desco. La donna di casa usciva con una carta blu – riciclata dal cartoccio dello zucchero – o color paglia – quella usata dal macellaio – oppure con un piatto. Veniva raspata sul momento e venduta non a peso ma a prese, pagata con poche lire. La polenta fumante era già in tavola e questo alimento era la gioia dei bambini e anche dei nonni con la dentatura precaria.
Ne seguì un successo e da tempo non certo lontano si producono forme appositamente destinate alla “raspadura” divenuta un piatto da gourmet. Ora è venduta nei migliori negozi gastronomici e nei supermercati. Ottima in cucina, il risotto con raspadura e sfumato con abbondante spumante Brut, è squisito!.
“Un tempo si faceva anche il granone con la goccia – aggiunge Alberto Abbà – ma oggi è impossibile ottenerlo perché non esistono più le marcite nelle quali era presente un microrganismo lattico che dall’erba passava nel latte e che permetteva al grana di avere la “goccia”.  Continua Alberto: “Un tempo, fino agli anni Sessanta, nel lodigiano c’erano più di quattrocento caseifici. Il centro del commercio del formaggio grana era Codogno con il commerciante storico Biancardi. Ora siamo rimasti quattro produttori. Lo sviluppo industriale a Milano concentrò la vendita del latte in bottiglia in città perché la popolazione aumentava, in questo modo non ci fu più la necessità di trasformare il latte in formaggio per conservarlo, perché veniva venduto subito per uso giornaliero”. Poi vennero le due industrie dolciarie  Motta e Alemagna che usavano preferibilmente il burro lodigiano “ideal” fatto appositamente per i loro panettoni e prodotti dolciari della tradizione milanese.
Alberto Abbà, laureato in Scienze e Tecnologie Alimentari presso l’Università Cattolica di Piacenza, conosce molti aneddoti sulle nostre terre lodigiane o del basso milanese e il suo principale prodotto: il grana padano.  Con un sorriso mi porge della carte storiche dove il letterato Cesare Cantù nel 1859 scrive:
“..il principale prodotto è il formaggio, che vi si fabbricava  ben anticamente e trasportavasi a Parma, e nel secolo XV a Piacenza, di che vennero i nomi di parmigiano o piacentino. Verso il 1650 presero i Codognesi a farsene i magazzini (le casare) in paese, e qui ne concentrarono tutto il commercio; nota un Pier Francesco Goldaniga, che nel 1750 Codogno commerciava da 35 a 40mila forme di formaggio…”
Immaginatevi il profumo che emanava simile concentrazione! Sotto la loggia del mercato di Codogno, nella piazza centrale, una lapide in marmo commemora lo splendore di quei commerci che fruttavano un tangibile benessere economico.
Info: www.caseificiozucchelli.it – Cascina Marmora, 18 – Orio Litta (Lodi) Tel.0377-804021
 
“LA BOTTEGA DEL GUSTO” , da meditazione
A Orio Litta se ti vuoi togliere uno sfizio, sulla strada mantovana  234
Lungo la statale Mantova- Cremona-Pavia, all’altezza di Orio Litta, il negozio del Caseificio Zucchelli promette sapori infiniti di formaggi e salumi. Il comodo parcheggio non ti fa stare in ansia e si può sostare fin quando vuoi nel negozio meditando sull’acquisto e sui piacevoli “odori” che preannunciano i sapori.  I tanti nomi e provenienze dei formaggi da tutta Italia ti possono confondere, ma ovviamente il grana padano del caseificio Zucchelli in primis, sai che è lodigiano, di casa tua, ha un sapore inconfondibile che si mangi puro o sul risotto o sulla polenta.
Ecco alcuni nomi di formaggi che ti invitano a un vero viaggio gastronomico per l’Italia, dal nord al sud: Brunet  Alta Langa, Zola Croce Malghese (il caseificio è a Casalpusterlengo), Cuor di Capra, “Maestrale” latte di capra sardo, Toma della Rocca, Erborinato di capra, Castelbelbo, provoloni Auricchio, caci di mucca podolica pugliese, Emmental svizzero, eccetera…
L’arredamento è piacevole e il grande tavolo in teak con la sfilata di forme di grana è un grande invito. Questo tavolo con le scanalature laterali era in caseificio e su di esso venivano poste le forme per la fase di spurgatura e rassodamento. Ora i tavolati devono essere in acciaio.
E’ una Bottega ad alto contenuto proteico, una tappa obbligata per i golosi e per coloro che si vogliono togliere lo sfizio con il sapore di un formaggio nuovo, non lodigiano. Immagino un happy hour in questa bottega: polenta e raspadura, schegge di grana, il tutto bagnato con un bel Roverone, un Riccardi brut, o un passito con crostino caldo spalmato di gorgonzola.
Purtroppo, quest’ultima riflessione, resterà solo un desiderio perché un eventuale test alcolico da parte della polizia stradale è troppo punitiva.  E i formaggi, si sa, non si possono gustare sorseggiando tè.
Info: “LA BOTTEGA DEL GUSTO”
Via Mantovana, 49 – 26863 ORIO LITTA (Lodi)
Tel.O377 804115 
info@casificiozucchelli.com
Testo e foto di Pia Bassi