Artico: identificati i meccanismi che controllano le concentrazioni
di black carbon Un nuovo studio condotto dai ricercatori dell’Istituto di scienze
polari del Consiglio nazionale delle ricerche, in collaborazione con
l’Università di Stoccolma e l’ETH di Zurigo, ha identificato i meccanismi che
controllano il trasporto in Artico del black carbon, un inquinante atmosferico
che contribuisce al riscaldamento climatico, stabilendo anche la variabilità
delle sue concentrazioni nelle diverse stagioni polari. Il lavoro, pubblicato
come highlight su Atmospheric Chemistry and Physics, pone le
basi per una più approfondita comprensione dell’impatto di questo composto sul
clima regionale e globale Il black
carbon è un inquinante atmosferico capace di contribuire al riscaldamento
climatico, ed è presente anche in Artico. In questa regione polare la sua
concentrazione dipende da diversi meccanismi che ne controllano il trasporto
dalle medie latitudini, cioè dalle regioni dove è situata la maggior parte
delle sorgenti. Finora sconosciuti, oggi questi meccanismi sono stati svelati
dai ricercatori dell’Istituto di scienze polari del Consiglio nazionale delle
ricerche (Cnr-Isp) che, in collaborazione con l’Università di Stoccolma e l’ETH
di Zurigo, hanno misurato per oltre quattro anni, in modo continuativo la
concentrazione di black carbon in Artico, studiando come la sua concentrazione
cambia nel tempo. I risultati sono pubblicati come highlight sulla rivista Atmospheric
Chemistry and Physics. “Questo
composto, prodotto dalle attività umane e dagli incendi alle medie e basse
latitudini, può sopravvivere a lungo in atmosfera e raggiungere la regione
artica dove contribuisce al riscaldamento dell’atmosfera e alla fusione
accelerata di neve e ghiaccio”, spiega Stefania Gilardoni, ricercatrice Cnr-Isp
e autrice del lavoro. “Attualmente i modelli in uso non riescono a riprodurre
la variabilità temporale del black carbon in Artico, rendendo difficile la
capacità di predirne gli impatti sul riscaldamento climatico a scala regionale
e globale”. La ricerca,
finanziata dal Programma di Ricerche in Artico (PRA) del Ministero
dell’università e della ricerca e realizzata grazie al supporto dello Svalbard
Integrated Observing System (SIOS) network, ha utilizzato una modello di
machine learning, ovvero una tecnica di intelligenza artificiale che ha
contribuito ad analizzare le misure raccolte presso l’osservatorio atmosferico
di Gruvebadet, nelle isole Svalbard. “Abbiamo misurato la concentrazione
atmosferica di black carbon in modo continuativo, ovvero sia durante il giorno
che la notte polare, a partire dal 2018, per oltre quattro anni, osservando che
le concentrazioni di black carbon mostrano una forte variabilità stagionale,
con valori maggiori tra dicembre e aprile”, prosegue Mauro Mazzola, coautore
dello studio e ricercatore Cnr-Isp. “Abbiamo scoperto che questa variabilità
dipende dalla frequenza e intensità delle piogge, che sono maggiori tra maggio
e novembre, periodo in cui le concentrazioni di black carbon sono minori, dato
che le piogge rimuovono efficacemente questo composto dall’atmosfera prima che
questo possa raggiungere le regioni polari”. All’interno di
una stessa stagione, i ricercatori hanno inoltre rilevato differenze nella
concentrazione di black carbon che dipendono dalla temperatura e dai fenomeni
meteorologici. “Nella stagione fredda (novembre – aprile) le concentrazioni
maggiori di black carbon si osservano quando le temperature sono più basse e
corrispondono al trasporto di masse d’aria fredda dal nord Europa e dalla
Siberia”, precisa Gilardoni. “Mentre, durante la stagione calda (maggio –
ottobre) le concentrazioni maggiori di black carbon si registrano in
corrispondenza di venti che trasportano aria inquinata dalle regioni più calde
alle medie latitudini”. “Questo studio
dimostra l’elevato valore scientifico dell’osservatorio atmosferico di
Gruvebadet, dove la ricerca italiana è impegnata da più di dieci anni, perché
rappresentativo dei processi atmosferici che avvengono in una scala spaziale
cha va da centinaia a migliaia di chilometri”, concludono gli autori del
lavoro. “Inoltre, i risultati raccolti forniranno nuovi dati ai modelli
climatici e di trasporto utili per capire come i cambiamenti dei fenomeni
meteorologici e della circolazione atmosferica, innescati dai cambiamenti
climatici, avranno un impatto sulla concentrazione di black carbon in Artico sul
clima regionale e globale”.
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