Emocromatosi: le
nuove linee guida europee per la ‘malattia più comune della quale non avete mai
sentito parlare’
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Presentate al
congresso della European
Association for the Study of the Liver (EASL) le nuove linee guida per la pratica
clinica dell’emocromatosi
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Unica
rappresentante italiana nel panel di esperti europei che ha redatto le
linee-guida la professoressa Elena Corradini della Società Italiana di Medicina
Interna (SIMI)
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Tante le novità sul
fronte della genetica e della diagnosi. Una conferma per i trattamenti attuali,
ma con all’orizzonte una nuova generazione di terapie innovative
Roma,
4 luglio 2022 –
È una patologia ‘misteriosa’ l’emocromatosi, anche perché poco nota al grande
pubblico, sebbene più diffusa di quanto si possa pensare. Nei Paesi del Nord
Europa, dove è molto più frequente che al sud, la chiamano la ‘maledizione
Celtica’. In passato ha colpito anche delle celebrities,
del calibro di Beethoven; il decesso del grande compositore secondo alcuni
sarebbe infatti da attribuire ad una cirrosi epatica, determinata da un mix di
emocromatosi e alcol. L’emocromatosi è una malattia genetica che porta l’organismo
ad assorbire troppo ferro e ad accumularlo in una serie di organi (fegato, pancreas,
ipofisi, articolazioni, cuore, ecc) che ne vengono progressivamente
danneggiati. Molto frequente sin dall’antichità in Gran Bretagna e in Irlanda
(qui la malattia è stata rintracciata anche in una donna del neolitico vissuta
5 mila anni fa e in un uomo dell’età del bronzo di 4 mila anni fa), in Italia
interessa circa 1 persona su 500 abitanti in alcune aree del nord e 1 su
2000-3000 abitanti nel centro-sud; i maschi sono colpiti 4 volte più delle
femmine. Si stima che il 2% dei nostri connazionali sia portatore (‘carrier’) del
gene malato (mutazione C282Y) alla base della forma più frequente, la
cosiddetta emocromatosi HFE. La malattia si trasmette per via autosomica
recessiva e compare, dunque, solo se entrambi i genitori trasmettono al figlio
il gene malato.
Negli
ultimi anni si sono andate accumulando una serie di conoscenze riguardanti
questa malattia antica. Per questo la European
Association for the Study of the Liver (Easl), che ha di recente tenuto il
suo congresso annuale a Londra, ha incaricato un panel di esperti internazionali
di aggiornare le linee guida sull’emocromatosi, ferme alla versione 2010. Tra
gli esperti che hanno preso parte alla stesura delle linee guida 2022, la
professoressa Elena Corradini, professore
associato di Medicina Interna all’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia,
nonché componente del Consiglio Direttivo della Società Italiana di Medicina
Interna (SIMI), per la sezione Emilia Romagna-Marche. “Il primo punto che
abbiamo aggiornato in questa nuova versione – spiega la professoressa Corradini
– è la definizione stessa di
emocromatosi, che nelle nuove linee guida è: ‘una malattia di origine genetica
caratterizzata da un aumento della saturazione della transferrina e da un
progressivo sovraccarico di ferro (soprattutto nel fegato), in assenza di
anemia o reticolocitosi’. Questa nuova definizione mette in luce che, alla base
di questa malattia, c’è un deficit di sintesi o di funzione dell’epcidina, un ormone prodotto dal
fegato, implicato nella regolazione del metabolismo del ferro (ne regola
l’assorbimento dall’intestino e ne controlla il rilascio nel sangue da parte delle
cellule che si occupano di riciclare il ferro che deriva dai globuli rossi
invecchiati)”.
Questo
difetto provoca un aumento del ferro circolante, con conseguente progressivo
accumulo negli organi. Il primo
campanello d’allarme per la diagnosi di questa malattia compare nelle
analisi del sangue ed è un’aumentata saturazione della transferrina, la
proteina che trasporta il ferro al midollo osseo e a tutti i tessuti. “Questa
proteina circolante – spiega la professoressa Corradini – è molto ‘carica’ di
ferro e questo avviene perché c’è troppo ferro in circolo; nell’emocromatosi è
proprio un eccesso di questo ferro circolante a causare un progressivo danno
agli organi, che si sovraccaricano di ferro. Per questo è così importante la diagnosi
precoce, perché ci permette di fare diagnosi di emocromatosi quando la malattia
è presente ancora solo nelle analisi del sangue, allo stadio cioè di sovraccarico
‘biochimico’, o in uno stadio iniziale con un modesto aumento del contenuto di ferro
nel fegato, prima che si arrivi ai danni da accumulo di ferro a carico dei vari
organi. Un paziente con emocromatosi HFE diagnosticata in fase precoce ha la
stessa aspettativa di vita della popolazione generale. Diverso il discorso per
le cosiddette forme giovanili della malattia, più rare e legate ad altre
mutazioni, che hanno un decorso molto più grave”.
I principali danni
d’organo in corso di emocromatosi. “L’emocromatosi – spiega la professoressa
Corradini - è una malattia sistemica, che coinvolge cioè tutto l’organismo. Il
principale organo target dell’accumulo di ferro è il fegato che presenta
inizialmente una fibrosi, che può progredire a cirrosi e a tumore. Ma il danno
d’organo si estende alle articolazioni (i pazienti lamentano spesso dolori
articolari, soprattutto a livello di mani, polsi, caviglie ed anche), al
sistema endocrino, in particolare al pancreas (con sviluppo di diabete) e all’ipofisi
(la malattia determina ipogonadismo ipogonadotropo, cioè un’insufficienza
testicolare o ovarica legata ad un malfunzionamento dell’ipofisi) e può colpire
anche il cuore (cardiomiopatia da ferro), dove determina alterazioni della contrattilità
del muscolo cardiaco e della conduzione elettrica che possono portare allo
scompenso cardiaco ed all’impianto di un pacemaker; la cute dei pazienti
presenta infine una caratteristica sfumatura color ocra. L’emocromatosi HFE, legata
alla mutazione C282Y, è la forma più comune tra gli europei, ed è caratterizzata
soprattutto dal danno epatico e articolare (solo nelle forme più avanzate e
gravi emerge anche il danno endocrino e più raramente quello cardiaco). Esistono
però anche forme più rare e severe di emocromatosi, soprattutto quelle
‘giovanili’ che già nella seconda-terza decade di vita portano alla comparsa di
cardiopatia ed endocrinopatia da ferro con ipogonadismo e diabete”.
L’iter
diagnostico. Il primo campanello d’allarme, il
biomarcatore più precoce da valorizzare, è quindi l’aumentata saturazione della
transferrina causata da un aumento del ferro circolante (negli esami del sangue
sarà visibile anche un aumento del ferro sierico o sideremia).
Un'altra
spia molto importante per il medico nelle analisi del sangue è l’aumento della
ferritina. “Nel paziente con ferritina alta – spiega la professoressa Corradini
– è sempre importante richiedere il pannello completo dell’assetto marziale
(sideremia e transferrina per calcolare la saturazione della transferrina,
ferritina). È importante a questo punto valutare l’emocromo e i reticolociti.
Se l’emocromo è normale, in presenza di aumento della saturazione della
transferrina e della ferritina, ma anche in presenza di un isolato aumento
della saturazione della transferrina non spiegato da altra causa, va presa in
considerazione la diagnosi di emocromatosi, che va confermata con il test
genetico di primo livello, che prevede la ricerca della variante C282Y del gene
HFE nella popolazione di origine europea. Non è più necessario fare la biopsia
epatica per la diagnosi di questa condizione”. Per la diagnosi, dunque, basta
un semplice prelievo di sangue, ma è importante sospettare la presenza di
questa condizione, magari sulla base di analisi del sangue di routine che
rivelino un aumento della sideremia, della saturazione della transferrina e
della ferritina in presenza di un emocromo normale. Anche in caso di segni di
malattia del fegato, riscontrati in esami del sangue, esami strumentali o visitando
il paziente, è indicato inserire fra le indagini diagnostiche l’assetto marziale
completo. “Tra le novità delle ultime linee guida – aggiunge la professoressa
Corradini – c’è anche l’utilizzo della risonanza magnetica per valutare l’accumulo
di ferro negli organi e in particolare misurarne la concentrazione nel fegato;
l’altra novità riguarda la genetica, che è stata estesa alla ricerca di altri
geni che si associano a forme più rare di emocromatosi”.
I primi sintomi. Le prime
manifestazioni cliniche sono stanchezza, affaticabilità e dolori articolari
(soprattutto a carico di secondo e terzo dito delle mani, caviglie, polsi, anche).
Il danno al fegato può rimanere asintomatico per molti anni. Nel tempo possono
comparire una colorazione bronzina della pelle e i sintomi delle alterazioni endocrine.
“Il nostro scopo – sottolinea la professoressa Corradini – è però quello di
fare diagnosi in fase preclinica, quando sono presenti solo le alterazioni
delle analisi del sangue, quando cioè il paziente ha ancora solo un eccesso di
ferro circolante eventualmente associato ad un modesto accumulo nel fegato nelle
fasi iniziali di malattia, ma non si sono ancora manifestati i danni d’organo
da accumulo di ferro”.
La terapia. “Non ci sono per
ora grandi novità in questo campo – afferma la professoressa Corradini – la
terapia di prima linea in questi pazienti rimane dunque affidata ai salassi ripetuti
(una volta ogni 1-2 settimane nella fase di ferro-deplezione, poi ogni 2-6 mesi
nella fase di mantenimento per prevenire il riaccumulo); questa pratica
presenta poche controindicazioni ed effetti collaterali ed è efficace nel
prevenire il danno d’organo e addirittura farlo tornare indietro, almeno quando
non abbia raggiunto una fase troppo avanzata, in una parte dei pazienti.
Un’altra opzione terapeutica è l’eritrocitaferesi (la rimozione di una parte di
globuli rossi dal sangue). I farmaci chelanti del ferro vengono utilizzati nelle
forme più gravi o laddove non sia possibile fare i salassi. Sono tuttavia in
corso dei trial clinici – anticipa la professoressa Corradini – che prevedono
l’utilizzo di epcidina sintetica o di epcidino-mimetici per supplementare il
paziente con l’ormone deficitario nell’emocromatosi. Ma ci vorrà ancora tempo
prima che arrivino alla pratica clinica. La salasso-terapia tratta e previene le
conseguenze dell’emocromatosi, cioè il sovraccarico di ferro, ma non è una
terapia eziologica, curativa del difetto fisiopatologico. Questa nuova
generazione di terapie mira invece al difetto fisiopatologico che è la carenza
di epcidina”.
“L’emocromatosi
è una malattia genetica che comporta gravi conseguenze se non è riconosciuta
tempestivamente e trattata in modo adeguato – commenta il presidente della
società Italiana di Medicina Interna SIMI – è una patologia internistica che
colpisce molti organi e che trova in Italia centri di eccellenza internazionale
per lo studio delle cause e dei trattamenti come quello della Medicina Interna
all’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia. La presenza della professoressa
Corradini esponente della Società Italiana di Medicina Interna (SIMI) nel Panel
di esperti che ha redatto le nuove linee guida della EASL costituisce non solo un
prestigioso riconoscimento individuale ma anche un attestato dell’elevata qualità
scientifica della medicina interna italiana”.
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