La prima famiglia
neandertaliana Un gruppo internazionale di ricerca è riuscito per la prima volta a
sequenziare il genoma di 13 neandertaliani vissuti negli stessi luoghi e nello
stesso periodo, più di 50.000 anni fa, tra cui anche un padre e la sua figlia
adolescente. I risultati – pubblicati su Nature – ci offrono uno sguardo
inedito sull'organizzazione sociale di questi gruppi umani e suggeriscono come
le diverse comunità fossero collegate tra loro attraverso la migrazione
femminile Per la prima volta, un gruppo
internazionale di studiosi è riuscito a gettare uno sguardo sull'organizzazione
sociale di una comunità neandertaliana: 13 individui vissuti in Siberia
più di 50.000 anni fa, tra cui un padre con una figlia adolescente e
un giovane ragazzo con una parente adulta, forse una cugina, una zia o
una nonna. L’analisi dei loro genomi ha mostrato che questi Neandertal erano
parte un piccolo gruppo di parenti stretti, composto da 10-20 membri, e che
comunità di questo tipo erano collegate tra loro principalmente attraverso
la migrazione femminile. Lo studio – pubblicato su Nature –
è stato guidato da ricercatori dell'Istituto Max Planck per l'Antropologia
Evolutiva, a cui fa capo il neo premio Nobel per la Medicina Svante
Pääbo. Unica autrice italiana è Sahra Talamo, professoressa dell’Università
di Bologna e direttrice del laboratorio di radiocarbonio BRAVHO
(Bologna Radiocarbon Laboratory Devoted to Human Evolution). LA PRIMA COMUNITÀ NEANDERTALIANA Le analisi genetiche realizzate negli
ultimi anni su resti di neandertaliani hanno permesso di ottenere importanti
indicazioni sulla storia di questa popolazione umana e sulle loro relazioni con
gli umani moderni. Fino ad oggi, però, sapevamo molto poco sull’organizzazione
sociale delle loro comunità. Per esplorare questo aspetto ancora
nebuloso dei nostri lontani cugini, gli studiosi hanno quindi rivolto la loro
attenzione sulla Siberia meridionale: una regione che in passato si è
dimostrata molto fruttuosa per la ricerca sul DNA antico. In particolare, le
indagini si sono concentrate in due grotte nella regione dei monti Altai:
Chagyrskaya e Okladnikov. In questi due siti, che sono stati
abitati brevemente circa 54.000 anni fa, gli studiosi sono riusciti a
recuperare e sequenziare con successo il DNA di 17 resti neandertaliani:
l’insieme più alto di resti di questo tipo mai sequenziato per un singolo
studio. I risultati mostrano che i resti
appartengono a 13 individui neandertaliani: 7 uomini e 6 donne, di
cui 8 adulti e 5 tra bambini e giovani adolescenti. L’analisi del DNA ha
rivelato che nel gruppo di individui c’erano anche un padre neandertaliano e
sua figlia adolescente e una coppia di parenti di secondo grado composta
da un ragazzo e una donna adulta, forse una cugina, una zia o una nonna. Nel DNA mitocondriale dei resti
analizzati sono state trovate inoltre diverse
eteroplasmie condivise: un tipo particolare di variante genetica che
persiste solo per un piccolo numero di generazioni. Secondo gli studiosi, la
presenza di eteroplasmie in combinazione con evidenze di individui imparentati
tra loro suggerisce fortemente che questi Neandertal siano vissuti - e morti
- più o meno nello stesso periodo. “È un risultato davvero sorprendente ed
emozionante: il fatto che questi individui siano vissuti nello stesso periodo
significa che probabilmente provenivano dalla stessa comunità sociale”,
afferma Laurits Skov, dell'Istituto Max Planck per l'Antropologia
Evolutiva e primo autore dello studio. “Per la prima volta, quindi, è stato
possibile utilizzare gli strumenti della genetica per studiare
l'organizzazione sociale di una comunità di Neandertal". INTRECCI DI COMUNITÀ E MIGRAZIONE
FEMMINILE Un'altra scoperta sorprendente emersa
dallo studio è che all’interno di questa comunità neandertaliana la
diversità genetica era estremamente bassa: un dato che suggerisce si
trattasse di un gruppo composto da 10-20 individui. Si tratta di
dimensioni molto inferiori a quelle registrate per qualsiasi comunità umana
antica o attuale, e più simili alle dimensioni dei gruppi di specie in via di
estinzione. Tuttavia, i Neandertal non vivevano
in comunità completamente isolate. Confrontando la diversità genetica del
cromosoma Y (ereditato da padre a figlio) con quella del DNA mitocondriale
(ereditato dalle madri), infatti, è stato possibile stabilire che queste
comunità neandertaliane erano collegate principalmente dalla migrazione
femminile. “Questi risultati sorprendenti
sull’evoluzione delle migrazioni devono farci riflettere sul ruolo della
donna sin dall’inizio della nostra affascinante storia evolutiva: una donna
che è sempre stata dotata della capacità di innovare, di trovare risorse,
soluzioni, e di ‘fare rete’”, commenta la professoressa dell’Università di
Bologna Sahra Talamo, che ha realizzato datazioni al radiocarbonio di
alcuni dei neandertaliani della grotta di Chagyrskaya. I NEANDERTAL PIÙ ORIENTALI Situata ai piedi dei monti Altai, in
Siberia, la grotta Chagyrskaya è stata scavata negli ultimi 14 anni dai
ricercatori dell'Istituto di archeologia ed etnografia dell'Accademia delle
scienze russa. Oltre a diverse centinaia di migliaia di utensili in pietra e
ossa di animali, gli studiosi hanno recuperato più di 80 frammenti di ossa e denti di Neandertal: uno dei
più grandi assemblaggi fossili di questi esseri umani rinvenuti a livello
mondiale. I Neandertal di Chagyrskaya e della
vicina grotta di Okladnikov cacciavano stambecchi, cavalli, bisonti e altri
animali che migravano attraverso le valli fluviali della regione. Le
materie prime utilizzate per costruire i loro utensili di pietra venivano
raccolte anche a decine di chilometri di distanza: proprio la presenza
di queste materie prime sia nella grotta di Chagyrskaya che in quella di
Okladnikov supporta i dati genetici che indicano come i gruppi che abitavano
queste località fossero strettamente collegati. "I risultati che abbiamo ottenuto
ci permettono di tracciare un quadro concreto di come poteva essere una
comunità neandertaliana", afferma Benjamin Peter, dell'Istituto
Max Planck per l'Antropologia Evolutiva, tra i coordinatori dello studio.
"Mettendo insieme tutti questi elementi abbiamo un’immagine molto più
umana dei Neandertal". Studi precedenti su un alluce fossile
proveniente dalla famosa grotta di Denisova (che si trova a meno di 100
chilometri di distanza) avevano dimostrato che i Neandertal hanno abitato i
monti Altai anche in epoche molto precedenti, circa 120.000 anni fa. Si
tratta della regione più orientale in cui siano mai stati rinvenuti
resti neandertaliani. I Neandertal rinvenuti nelle grotte
Chagyrskaya e Okladnikov non sono però discendenti di questi gruppi
precedenti. I dati genetici mostrano infatti una maggiore vicinanza con i
Neandertal europei. Un dato supportato anche dal materiale archeologico: gli
utensili in pietra della grotta Chagyrskaya sono infatti più simili alla
cosiddetta cultura micocchiana, conosciuta anche in Germania e nell'Europa
orientale. I PROTAGONISTI DELLO STUDIO Lo studio – pubblicato su Nature con
il titolo “Genetic insights into the social organization of Neanderthals” – è
stato realizzato da un ampio gruppo internazionale di ricerca guidato da dal Max
Planck Institute for Evolutionary Anthropology (Germania), diretto dal
premio Nobel per la Medicina Svante Pääbo. Unica italiana del gruppo di ricerca è Sahra
Talamo, professoressa al Dipartimento di Chimica "Giacomo
Ciamician" dell’Università di Bologna e direttrice del nuovo
laboratorio di radiocarbonio BRAVHO (Bologna Radiocarbon laboratory
devoted to Human Evolution). Attiva anche presso il Max Planck
Institute for Evolutionary Anthropology, la professoressa Talamo è Principal
Investigator di vari progetti, tra cui il progetto ERC RESOLUTION (Radiocarbon,
tree rings, and solar variability provide the accurate time scale for human
evolution and geoscience - ERC Starting Grant n. 803147) e due progetti
nazionali: il PRIN DYNASTY (Neanderthals dynamic pathway and resilience
in central Europe through the chronometric sustainability), e il progetto FARE
ricerca in Italia EURHOPE (Evaluate the precision of time in Human
Evolution adopting spectrometric methods for archaeological bones). Tutti
progetti di ricerca che portano ad evidenziare l’importanza delle datazioni al
radiocarbonio per fare luce sui periodi chiave della preistoria europea.
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