VALLE D’AOSTA La Fontina, un formaggio che profuma di montagna La
ricerca dei cibi genuini è oggigiorno un imperativo categorico, è la strategia
vincente per la difesa della propria salute. Il formaggio Fontina è tipico
della Valle d’Aosta ed ha tutte le carte in regola per essere dichiarato tale.
Quando si porta in tavola racchiude ancora in sé tutte le buone qualità
dell’alta montagna: aria pura, acque limpide, profumo dei fiori e di erbe
medicinali, silenzi rotti dal gorgogliare dei torrenti e dal planare delle
aquile che dalle alte quote perlustrano i prati. L’etimologia del suo nome
affonda nel Medioevo, quando in questa valle sopra alcune rovine romane i
signorotti eressero castelli e torri a difesa del territorio. Ne è un esempio
il paese di Nus che al XX° miglio, sotto St. Barthélemy – dove ora oltre alla
produzione di fontina ci sono una dozzina di telescopi che producono ricerca
sull’universo – è stato eretto un castello a difesa dell’importante via di
comunicazione per la Francia. La
fontina, racchiusa nelle rutilanti forme che la contraddistingue dagli altri
formaggi, fino agli anni Sessanta veniva fatta esclusivamente negli alpeggi ad
alta quota dagli “arpian” – i pastori degli alpeggi che vivono e lavorano nelle
baite - e poi portata a valle a dorso di
mulo, nelle gerle o trasportata su uno speciale attrezzo da spalla “l’aoujì”
per essere venduta soprattutto nel giorno di mercato. Da diversi anni le fontine vengono
esclusivamente portate in un moderno centro di raccolta a Saint Christophe, nel
vicinanze del capoluogo, Aosta. Ad esso fanno capo seicento produttori (pari al
novanta per cento della produzione regionale) riuniti in Cooperativa. In questo
moderno edificio, che ha un notevole sviluppo sotterraneo, alle fontine viene
data una carta d’identità, curate, invecchiate, imballate ed infine messe in
distribuzione attraverso i grossisti in Italia e all’Estero. In Italia è molto
apprezzata al nord e al centro, al sud solo nelle grandi città. I maggiori
consumatori stranieri sono Svizzera, Germania, stati Uniti e Canada.
L’esclusiva del marchio fontina spetta alla sola regione autonoma della Valle
d’Aosta, riconosciuto con il D.R.P. 30 maggio 1955 n. 1269. Il marchio
caratteristico ed inconfondibile raffigura in modo stilizzato il profilo del monte
Cervino con la dicitura FONTINA, sotto la scritta D.O.P – denominazione origine
protetta -, tutt’attorno la dicitura
Consorzio Produttori Fontina impresso ad inchiostro nero su una delle facce piane
della forma. Data l’ottima qualità del prodotto, in commercio si trovano
diverse imitazioni ma la denominazione spetta soltanto al prodotto italiano, precisamente alla Regione autonoma della Valle
d’Aosta. Il formaggio che più gli assomiglia è il fontal. Per spiegare le
differenze diamo brevemente tre esemplificazioni: FONTINA
D.O.P. Produzione
artigianale, peso da 8 a 11 chilogrammi, forma cilindrica a scalzo basso,
leggermente concavo, con facce piane o quasi piane, stagionatura da 3 a 6 mesi,
naturale secco, conseguente crosta scura leggermente ammuffita. FONTAL Produzione
industriale, forma da 11 a 20 chilogrammi circa, stagionatura da 1 a 3 mesi
massimo con acqua e sale, conseguente
crosta rossa. PASTA
PRESSATA Formaggio
da tavola, produzione industriale, forma peso da 11 a 13 chilogrammi,
stagionatura da 15 a 45 giorni, a secco, crosta naturale oppure plastificata.
E’ il formaggio più economico. LA
FONTINA viene lavorata soltanto con latte di ottima qualità, prodotto in Valle
d’Aosta: per questo motivo il suo gusto è inconfondibile. Le mucche sono di razza
valdostana, pezzata rossa e pezzata nera. Le mandrie che pascolano ad alta
quota vengono radunate al tramonto presso le baite e sottoposte alla mungitura
con macchine moderne che assicurano l’igiene. LA LAVORAZIONE DEL LATTE IN BAITA Il
latte intero, non scremato e non pastorizzato ad acidità naturale tra i 6.8 e
il 7. p.H, viene rovesciato in una capiente caldera in rame e messo sul
fuoco per il riscaldamento. Ma non tutto
il latte munto in giornata è buono da caseificare. Il casaro e il mandriano devono
avere buon intuito nella scelta della materia prima. Innanzitutto si deve fare
attenzione alle caratteristiche fisiche ed organolettiche del prodotto ottenuto
da ogni mungitura e spesso l’assaggio di un campione di latte può salvare il
lavoro di un’intera giornata. Questo perché in una mandria alcune bovine
possono vivere momenti particolari di salute. Alcuni esempi: una vacca che
abbia appena partorito, oppure ammalata di mastite o di meteorismo o di
intossicazione foraggera, darà latte deprezzato che potrà servire ad altri usi
come l’alimentazione di vitelli, ma non essere impiegato per la fontina. Anche
soltanto pochi litri di latte scadente possono guastare tutta la massa della
caldaia e le forme di fontina che si otterrebbero sarebbero di seconda scelta.
Per il produttore sarebbe un danno
consistente. La qualità del latte non è soltanto determinata dal contenuto
fisico di protidi, lipidi, zuccheri, Sali minerali, ecc. ma soprattutto dalla
qualità della flora microbica in esso contenuta: essa è importante per ottenere
delle fermentazioni a catena di vario genere e delle catalizzazioni tendenti a
trasformare le materie prime grezze. Ogni operazione è preceduta dal filtraggio
del latte da versare nella caldaia. Si usano vari filtri ad ovatta, con bande di seta, oppure
della semplice tela da casaro ripiegata 4 o 8 volte. I filtri devono trattenere
le impurità che inavvertitamente sono cadute nel secchio durante la mungitura a
mano. Questo avveniva nelle baite sperdute ma per lo più ora la mungitura avviene
tramite le mungitrici meccaniche previo lavaggio delle mammelle. Il latte
sgorga dalla mammella a 37 gradi C. e durante il tragitto si raffredda di
alcuni gradi soprattutto d’inverno. In caldaia viene riportata alla temperatura
di 36-37 gradi C. a fuoco lento. A questa temperatura viene aggiunto il caglio
(abomaso di vitelli lattanti) ed a 47°-49° avviene la rottura delle cagliata.
L’occhio del casaro esperto capisce subito e la cagliata è buona: basta
affondare un dito nella massa che essa si deve rompere con un taglio netto. Poi
con mestoli e sassole in legno si procede alla sua rottura rivoltandola più
volte da basso verso l’alto per fare affiorare le eventuali impurità che fosse
sfuggite al filtraggio del latte e precipitate sul fondo. Con la “lira” si
sminuzza il tutto fino ad ottenere dei chicchi della grandezza dei grani di
frumento. Dopo una serie di procedimenti delicati ed importanti per la riuscita
della buona fontina, la pasta viene raccolta in grandi teli puliti dai quali
gocciola il siero. Lotti di pasta del peso di 9-10 chilogrammi circa vengono
collocati ancora fumanti negli appositi stampi dai bordi interni leggermente
convessi. Le forme vengono collocate sul piano della presa per la pressatura.
L’operazione si ripete 5-6 volte in dodici ore, cambiando la tele bagnata con
una asciutta. La pressatura non deve essere troppo forte, uno spurgo troppo
intenso non permetterebbe a determinati organismi di compiere una regolare
fermentazione. La
baita solitamente è ubicata in posizione soleggiata in prossimità di una fonte
ricca d’acqua fresca e pulita. E in alta montagna i torrenti non mancano. Le
forme vengono appoggiate su assi di legno d’abete ed alla prima occasione
portate a valle a dorso di mulo. La meta finale di queste profumate e rutilanti
forme sono i magazzini della Cooperativa di Saint Christophe che ha i locali
adatti alla stagionatura, minimo 3 o 4 mesi per naturale fermentazione. LA
MATURAZIONE Avviene
in grotte e gallerie sotterranee. Per tre mesi si effettua la salatura a secco
usando a giorni alterni sale marino macinato e spazzolature con acqua salata.
Nei caseifici a valle il lavoro e svolto con i più moderni mezzi meccanici. LE
CARATTERISTICHE Alla
fine di tanto lavoro si ottiene un prodotto dalle caratteristiche inconfondibili: crosta:
sottile, dello spessore di 1-1,5 mm di colore marrone chiaro e marrone più
scuro secondo del grado di maturazione; colore della pasta: quasi bianca o leggermente
paglierina. Durante l’estate la pasta è più gialla perché le vacche si nutrono di
erba e quindi nel latte è presente più carotene; consistenza
della pasta: morbida ma non troppo. In bocca si fonde piacevolmente, lasciando
un gusto dolce e gradevole. E’ digeribilissima ed è particolarmente indicata
alle persone bisognose di calcio; è nutriente:
330-350 calorie per 100 grammi a secondo se è prodotto d’inverno o d’estate; contenuto:
umidità 37-40, materie grasse minime: 45% sulla sostanza secca, proteine
30-31%, sali minerali 6-7% tra cui Na, Cl, Ca, P, K, vitamine del gruppo A e B,
fermenti lattici in notevole quantità anche dopo tre mesi di stagionatura; aspetto:
superficie regolare, occhi piccoli della grossezza di un pisello distribuiti in
tutta la pasta. Il
Consorzio Produttori Fontina di Aosta ha redatto un ricettario di ben 104 ricette
suddivise in antipasti, primi piatti, secondi e tramezzini. Tuttavia
la “morte” della fontina è la fonduta alla Valdostana, in vendita già pronta in
barattoli . La
fontina è stata confezionata anche in latte da 400 e 800 grammi e in vetro da
280 grammi, oltre che a fettine già preparate in panetti. La
vera fontina Valdostana D.O.P. si vende presso tre chalet: a Saint Christophe,
tel. 0165-35714, a Pré-Saint- Didier, tel 0165-87850 e a Cogne tel 0165-74466. Ci
sono altri tre centri aperti alle visite del pubblico, su prenotazione: Pré-
Saint- Didier tel. 0165-87755; Valgrisenche
tel. 0165-97169 e Issogne tel. 0125-920475 PIA
BASSI Testo
e foto LA
STORIA DELLA FONTINA Sulle
generose montagne della Valle d’Aosta già nel Milleduecento/Milletrecento veniva
lavorato un tipo di formaggio simile alla odierna fontina. Era il “seras” e
nella scrittura notarile “reconnaissance” (una specie di contratto unilaterale
paragonabile quasi ad un affitto) si raccomandava che esso doveva essere buono,
ben fatto e di ottima qualità. Non soltanto commestibile ma anche ben
presentabile. Doveva quindi trattarsi di un ottimo formaggio qual è la fontina
perché i Signori non avrebbero mai accettato, neppure per la servitù, del “seras” residuato dalla
lavorazione di un latte scremato, perché troppo magro, asciutto, indigesto e
costipante, destinato unicamente al bestiame giovane. Il
nome “fontina” sarebbe derivato da un toponimo o dal nome di una famiglia. Per
la prima volta il nome Fontina appare in un testo del 1270 del “Fondo Challant”
redatto in lingua latina. “Item tenent apud Fontines peciam prati” ed ancora,
nella stessa pagina viene citato un certo Penoninus de Fontines. Ciò sta ad
indicare che il nome Fontines serviva per individuare un appezzamento di
terreno ed era anche applicato come cognome o nome ad una persona. L’Archivio
Storico Regionale di Aosta è ricco di documenti che nei vari secoli riportano
la parola Fontina. Tuttavia è soltanto nel XV° secolo che serve a definire il
formaggio. Lo studioso valdostano Marco Ansaldo ritiene che questo formaggio
abbia preso il nome dall’alpeggio Fontin di Saint Barthélemy, la dove, quando
le notti sono limpide, si studiano le stelle, una finestra sugli spazi infiniti
dell’universo proprio come le infinite molecole dei prati valdostani d’alta
quota che per mezzo delle mucche vengono trasformate nelle rutilanti e
profumate forme di fontina. Pia
Bassi
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