L'ultimo giorno di vita
del Giovane Principe in un emozionante docu-film
La vita quotidiana del
Giovane Principe, cacciatore paleolitico vissuto nel Finalese 28mila anni fa e
sepolto con grandi onori nella Caverna delle Arene Candide, rivive nel
docu-film prodotto dal Museo Archeologico del Finale con Museo Diffuso del
Finale – MUDIF e realizzato dal filmmaker Alessandro Beltrame e dall’attore e
sceneggiatore Andrea Walts.
Finale Ligure, 10 maggio
2021. In questi mesi di forzata chiusura al pubblico il Museo Archeologico del Finale non si è fermato. Insieme al film maker Alessandro Beltrame e all’attore e scenografo Andrea Walts lo staff scientifico del
Museo si sta misurando con una nuova avventura: riportare il Giovane Principe a correre nei boschi dove 28mila anni fa era
solito muoversi, seguire i suoi ultimi attimi di vita e ripercorrere l’emozionante momento della scoperta dell’eccezionale sepoltura che gli venne riservata
e che lo ha “consegnato alla storia”.
Quella che a prima vista potrebbe essere
un’azzardata collaborazione è invece un’operazione di alta
divulgazione condotta con la massima cura scientifica. Alla ricostruzione dell’ultimo giorno di vita del cacciatore paleolitico si sovrappone - come
accennato - l’intrigante ricostruzione della scoperta archeologica
della sepoltura, avvenuta il 1 maggio 1942 a Finale Ligure nella
Caverna delle Arene Candide da parte degli archeologi Virginia Chiappella e Luigi Cardini, incaricati da Luigi Bernabò Brea – nel pieno della seconda guerra mondiale – di portare
avanti gli scavi, aiutati dai soldati di stazionamento nelle posizioni della
contraerea presenti vicino alla grotta. Due appassionanti racconti di vita
quotidiana che diventano storia.
Il docu-film “Il Giovane
Principe”, oltre alla collaborazione del Ministero della Cultura
– Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le province di Imperia
e Savona, ha ottenuto il patrocinio dell’Istituto Italiano di
Preistoria e Protostoria e il patrocinio Fondazione
Genova Liguria Film Commission e della Fondazione Giannini e ha ricevuto il
sostegno – attraverso il progetto Museo Diffuso del Finale – della Fondazione Compagnia di San Paolo.
Il docu-film si pone obbiettivi ambiziosi, sia narrativi che tecnici, iniziando dalla volontà di ambientare le
scene principali nei luoghi in cui le
vicende narrate si sono realmente svolte, cioè i boschi e le grotte del Finalese. Quello che è stato realizzato è un salto indietro nel tempo di 28mila anni.
Questo è possibile grazie alle capacità tecniche del team di produzione e ad un intelligente uso delle opportunità offerte dalle nuove attrezzature digitali, che permettono una produzione leggera e veloce, ma di alta qualità
cinematografica. A questo si aggiunge la capacità narrativa di un
attore duttile, che riesce a passare dall’interpretazione di un giovane preistorico a quella di un colto archeologo moderno.
Racconta il regista
Alessandro Beltrame: “abbiamo affrontato la produzione con tutti
i criteri di una produzione cinematografica di alto livello, consapevoli di non
averne le risorse e soprattutto i tempi di realizzazione. Tecnicamente non ci
siamo fatti mancare nulla, nello specifico abbiamo usato: un braccio crane di 7
metri con testa remotata, un mini-jib per i movimenti in ambienti ristretti in
grotta, una gimbal per le scene dinamiche di caccia sulla neve, microfoni per
presa diretta dei suoni, un drone e un palco luci di 4 elementi alimentati a
batteria”. E prosegue: “Come macchine da presa la scelta è andata
su camere di alta qualità sia come risoluzione che come gestione del colore,
pensando ad un prodotto finale a bassa obsolescenza e che potesse avere una
fruizione sul grande schermo ancora per molti anni. Macchine cinematografiche a
tutti gli effetti, ma con una velocità di esecuzione tipica delle videocamere;
avevamo preventivato 5 giorni di riprese per chiudere i 10 minuti di film
ambientato in 3 locations, tanto affascinanti, quanto difficili da allestire
come set cinematografici: la Grotta della Pollera, gli altopiani innevati del
Melogno e la Grotta Strapatente, tutte nell’area finalese. Ci ha accompagnato
la consapevolezza che non potevamo permetterci troppe ripetizioni dello stesso
shot. Su questo punto la mia esperienza in produzioni più commerciali, dove i
tempi non sono così dilatati come nel cinema, ha sicuramente contribuito a
portare a casa il necessario, pur mantenendo un linguaggio visivo raffinato e
speriamo interessante. Vi è sempre movimento, il focus dell’azione cambia punti
di vista continuamente, con dei passaggi in visione soggettiva per far
assaporare la paura, l’angoscia, il gusto della caccia e l’eccitazione
dell’aver trovato la propria preda. Un salto nel tempo di 28mila anni rimanendo
incredibilmente nei nostri territori”.
Daniele Arobba,
Direttore del Museo Archeologico del Finale evidenzia come “fin dall’ideazione del prodotto e durante tutte le fasi di ripresa, e
successivamente nel montaggio finale, è stata costante la presenza di archeologi
e specialisti della Preistoria. Senza nulla togliere alla componente emozionale
del film, che è fondamentale in questi casi, ci siamo impegnati per garantire
la massima scientificità”.
Andrea De Pascale,
archeologo, Conservatore del Museo sottolinea che “il rischio in produzioni di questo tipo di dare vita a operazioni al limite
del ridicolo è altissimo. Dovevamo assolutamente evitare di creare un film in
cui l’effetto finale fosse grottesco, con stereotipi sui ‘cavernicoli’, errori
e ingenuità. Per ottenere un prodotto di alta divulgazione scientifica, oltre
ad affidarci a film maker, sceneggiatore e attori professionisti, abbiamo
lavorato molto per ricostruire e verificare ogni dettaglio, dall’abito
indossato dal Giovane Principe, alle riproduzioni degli oggetti trovati nella
sepoltura ad altri che poteva avere usato negli ultimi istanti di vita”.
Arobba, che è anche specialista in
archeobotanica (scienza che studia attraverso carboni, polline e altri resti
vegetali l’ambiente del passato e le interazioni con l’uomo) aggiunge che “pure la scelta dei luoghi dove girare le scene è stata a lungo ponderata:
28mila anni fa il clima era molto diverso da oggi. Il Giovane Principe ha
vissuto nell’ultima età glaciale e quindi nel Finalese, oltre a esservi neve
perenne sulle alture, avevamo una vegetazione con conifere, in particolare il
pino silvestre. Abbiamo quindi lavorato anche su questi dettagli per ritrovare
luoghi che fossero corretti per l’ambientazione del film”.
Marta Conventi,
funzionario archeologo della Soprintendenza responsabile per il Finalese
dichiara come “da subito abbiamo appoggiato la proposta
del Museo Archeologico del Finale perché iniziative di così forte impatto
emotivo, ma di rigore scientifico, sono fondamentali per la promozione dell’archeologia
del territorio e per sensibilizzare la comunità al valore del patrimonio
culturale. Questa operazione rientra inoltre pienamente nelle molte iniziative
che Soprintendenza, Comune di Finale Ligure e Museo Archeologico del Finale,
unite le forze, stanno conducendo dal 2019 per la valorizzazione della Caverna
delle Arene Candide, un sito di straordinaria importanza per la Preistoria
europea che abbiamo l’onore di avere nel Ponente ligure”.
Abbiamo la fortuna di vivere immersi in un’inestimabile ricchezza, che
rende ancora più preziose le nostre storie personali e collettive,
permettendoci di progettare in modo nuovo i luoghi in cui viviamo – dichiara Alberto
Anfossi, segretario Generale della Fondazione Compagnia di San Paolo – È proprio
con questa sensibilità e con questo sguardo che la Fondazione Compagnia di San
Paolo opera per Valorizzare le identità culturali già riconosciute dei
territori di riferimento in un percorso di posizionamento che favorisca una
relazione integrata fra il mondo della cultura e il turismo. Il progetto del
Museo Diffuso di Finale lavora proprio in questa direzione sostanziando in modo
concreto le linee programmatiche della Fondazione".