Gli italiani e la radioterapia: chi pensa che renda
radioattivi (52%) o limiti la routine (64%) o che a somministrarla non sia un
medico (41%). Presentato l’identikit di chi ha vissuto questo iter (50%) ma ne
ha visto anche le evoluzioni (8 su 10) Quasi tutti ne
hanno sentito parlare (95%), la metà (50%) ha avuto esperienza diretta o
indiretta, ma solo il 64% degli italiani intervistati dice di essere ben
informato sulla radioterapia. Si tratta però di conoscenze confuse, come emerge
dalla ricerca AstraRicerche-AIRO in cui solo il 41% pensa che a somministrarla
sia sempre un medico oncologo e più della metà che si diventi radioattivi dopo
un trattamento (52%), precludendo anche la possibilità di svolgere le abituali
attività quotidiane, sesso incluso. Quella degli effetti collaterali della
radioterapia è un’eredità difficile da scalfire e che gli italiani portano con
sé da molto tempo. Lo confermano i risultati dell’indagine
AstraRicerche per AIRO presentati durante il 34° Congresso Nazionale dell'Associazione
Italiana di Radiologia e Oncologia Clinica (AIRO) nell’ambito del 1° Congresso
Congiunto delle Società Scientifiche nell’Area Radiologica in corso a Milano
(21-23/6). Colpisce che poco più della metà degli
intervistati (50,5%) abbia avuto un'esperienza diretta o indiretta con la
radioterapia, chi per malattia di familiari (25%) o di amici e conoscenti
(22%), ma, nonostante questo, la percezione del trattamento è poco chiara e
gravata da numerosi falsi miti, da cui AIRO vuole partire per intervenire con
un processo di educazione e formazione sulle persone. “L’identikit emerso rafforza la necessità di
un’informazione corretta e capillare sui benefici e sulle modalità della
radioterapia che hanno subito un’incredibile evoluzione. Il Congresso Nazionale
attualmente in corso rappresenta un momento di confronto su temi cruciali per
il futuro della radioterapia in Italia, con l’obiettivo non solo di migliorarne
gli obiettivi di cura, ma anche di rafforzare il legame con l’oncologo
radioterapista. Potremo dichiararci soddisfatti – precisa Marco
Krengli, Presidente AIRO, Professore Ordinario di Radioterapia
all’Università degli Studi di Padova e Direttore della UOC di Radioterapia
dell’Istituto Oncologico Veneto, IOV - quando verrà superata la percezione distorta
del nostro ruolo emersa nell’indagine. Sebbene il 77% creda che il
radioterapista lavori a stretto contatto con medici oncologi, solo il 41% sa
che non è sempre un medico oncologo e lo identifica con un tecnico altamente
specializzato. Questa confusione può portare a sottovalutare l'importanza del
radioterapista e il suo fondamentale contributo nel percorso di cura del
cancro. È pertanto essenziale promuovere una migliore comprensione e
riconoscimento delle competenze e dei ruoli specifici per valorizzarne appieno
il valore e migliorare la fiducia e l'efficacia del sistema sanitario”. FALSI MITI: DIVENTI RADIOATTIVO (52%), NO
CIBO (48%), NO AUTO (65%), NO SEX (67%) La paura più diffusa riguarda la persistenza
di radioattività nel corpo dopo il trattamento: solo 1/3 degli intervistati
(38,2%) sa che la radioterapia non lascia traccia di radioattività, mentre
oltre la metà (51,8%) crede erroneamente che il trattamento possa rendere il
paziente radioattivo per un certo periodo. Numerosi anche i timori riguardo
alle possibili limitazioni alla vita quotidiana dovute alla radioterapia. Solo
il 52,2% pensa che dopo una seduta di radioterapia si possa mangiare
normalmente, mentre percentuali più basse ritengono di poter continuare a
lavorare (41,5%), guidare (35,5%), fare attività fisica (32,7%), o avere una
vita sessuale normale (32,6%) senza restrizioni, indipendentemente dal
distretto trattato. “Queste false credenze possono causare
inutile ansia e isolamento sociale per i pazienti sottoposti a radioterapia. È
fondamentale educarli sul fatto che, salvo indicazioni cliniche specifiche – prosegue Antonella
Ciabattoni, segretario alla Presidenza AIRO, radioterapista
oncologo dell’Ospedale San Filippo Neri, ASL Roma 1 – la radioterapia non limita significativamente
la loro vita quotidiana ed eventuali modifiche alle abitudini saranno
raccomandate solo se strettamente necessarie in base alla risposta individuale
al trattamento. Per questo motivo è essenziale ricordare che la comunicazione,
specie in una disciplina altamente tecnica come la nostra, va considerata tempo
di cura”. PER L’80% C’E’ STATO MIGLIORAMENTO E RIDOTTI
EFFETTI COLLATERALI (PER IL 30%) Nonostante i timori e le lacune di
conoscenza, c'è un consenso generale (81,5%) che la radioterapia moderna sia
migliorata rispetto a 15-20 anni fa. I principali miglioramenti indicati
includono una maggiore precisione nel trattamento delle cellule tumorali (50%)
e una riduzione degli effetti collaterali (30%). “Questi progressi sono frutto di notevoli
sviluppi tecnologici e di una maggiore comprensione dei meccanismi alla base
delle neoplasie. La tecnologia oggi permette di colpire con precisione i
tumori, risparmiando al contempo i tessuti sani circostanti e riducendo così
significativamente gli effetti collaterali. Lavorare su questa percezione
positiva che è emersa – conclude Ciabattoni - è cruciale
per aumentare la fiducia dei pazienti nei confronti della radioterapia che può
incidere anche sull'aderenza ai trattamenti”. |