DEGENERAZIONE MACULARE LEGATA ALL’ETA’ Milano, 8 luglio
2021 - Come
si esegue una diagnosi di degenerazione maculare legata all’età? Qual è il
paziente a rischio di tale malattia? Quali sono le possibilità di trattamento?
Queste in estrema sintesi le domande a cui sono stati chiamati a rispondere
alcuni tra i più autorevoli specialisti in oftalmologia, nel corso del webinar
tenutosi di recente all’interno del percorso formativo di Floretina 2021dal
titolo “Neovascular AMD in real life”, presieduto dal Professor
Edoardo Midena, Professore di Malattie dell’Apparato Visivo e Direttore della Scuola di Specializzazione in
Oftalmologia dell’Università degli Studi di Padova, e dal Professor
Stanislao Rizzo, Direttore dell'U.O.C. di Oculistica presso il Policlinico
Universitario “A. Gemelli” di Roma, organizzato con il contributo non
condizionato di Bayer. La degenerazione
maculare legata all’età (AMD - Age-related Macular Degeneration) è una
malattia di grande rilevanza sociosanitaria ed è la prima causa di grave
ipovisione centrale nei paesi industrializzati, nei soggetti di età superiore
ai 65 anni. In Italia si registrano ogni anno cinquantamila nuovi casi. I pazienti affetti
dalla forma neovascolare (essudativa-umida) della maculopatia devono essere
sottoposti a terapie farmacologiche somministrate mediante iniezioni
intravitreali (farmaci anti VEGF),trattamento che permette non solo di
prevenire l’ulteriore perdita della vista ma, in molti casi, di recuperare
l’acuità visiva perduta soprattutto quando si riesce a intervenire in tempo. Una visita
oculistica, tuttavia, non è sempre sufficiente per formulare una
valutazione corretta. Per confermare la diagnosi e inquadrare la malattia
sono, infatti, necessari alcuni esami strumentali, come la tomografia a
coerenza ottica (OCT), moderna tecnica che ha permesso di analizzare le
strutture retiniche con dettaglio e risoluzione sempre crescente. “Il semplice OCT
(OCT strutturale), però, non permette uno studio del microcircolo retinico,
garantito invece dalle tecniche angiografiche (angiografia con fluoresceina
- FA) con colorante e ora dalla nuova metodica diagnostica rappresentata
dall’ OCT angiografia(OCTA) che, grazie ad un’innovativa tecnica di
imaging, aumenta le già notevoli possibilità diagnostiche dell’OCT e fornisce
informazioni anche sulla rete vascolare, basandosi sull’analisi dei cambiamenti
di segnale durante ripetute scansioni retiniche.” dichiara il Professor
Edoardo Midena. La scelta
dell’esame spetta, pertanto, allo specialista che deciderà, in base al quadro
clinico riscontrato e alle necessità terapeutiche, di eseguire un singolo esame
(ad esempio solo OCT o FA) oppure una combinazione di più esami (ad esempio OCT
+ FA). Le tecniche
diagnostiche sono, dunque, fondamentali per avere un quadro clinico
preciso e, di conseguenza, poter formulare un percorso terapeutico efficace.
Dagli esami strumentali, infatti, possono emergere alterazioni che possono
predire una gestione più difficoltosa della lesione in termini di acuità
visiva, come la presenza di fluido intraretinico rispetto al fluido
sottoretinico. “Partendo
dall’assunto che i farmaci anti VEGF, entrati ormai nella pratica
clinica da circa 20 anni, sono efficaci e rappresentano il goldstrandard per il
trattamento dell’AMD – continua il Professor Midena - nel tempo abbiamo
verificato che l’efficacia assoluta è correlata al numero delle
iniezioni intravitreali effettuate nel corso dell’anno e l’efficienza di
questo trattamento è legato sicuramente alle caratteristiche del regime di
trattamento che noi scegliamo”. Esistono due grandi categorie di schemi di trattamento, quello proattivo
e quello reattivo. Quest’ultimo detto anche PRN (Pro-Re-Nata), si
basa sull’attività della neo- vascolarizzazione e necessita di un
monitoraggio regolare, preferibilmente mensile. Per questo motivo risulta difficilmente
applicabile nella pratica clinica. Nonostante abbia ampiamente dimostrato
la propria efficacia, infatti, ha come conseguenza un “sotto-trattamento” dei
pazienti se le visite di monitoraggio non vengono effettuate con regolarità. Tra i trattamenti
proattivi si ricordano quello “fisso” e il Treat&Extend
(T&E), che hanno come caratteristica principale quella di trattare i
pazienti indipendentemente dall’attività della neovascolarizzazione. Il trattamento
fisso mensile permette di avere un ottimo guadagno funzionale, con il
rischio di un “sovra-trattamento” e la conseguente impossibilità di utilizzarlo
nella pratica clinica a causa di un burden eccessivo per i pazienti e
per i caregiver. Alla luce di ciò, per poter portare avanti questa
strategia terapeutica è stata proposta una riduzione del numero delle iniezioni. Il T&E,
a differenza dello schema “fisso”, può adattare l’intervallo del trattamento in
base alle caratteristiche della risposta funzionale e anatomica della
neovascolarizzazione. “Il T&E – afferma
il Professor Midena - permette di individuare qual è la strategia e
l’intervallo di trattamento giusto per ogni singolo paziente. Si basa su tre
iniezioni consecutive. Successivamente, a seconda delle caratteristiche
dell’attività della neovascolarizzazione, si può modificare l’intervallo di
trattamento tra un’iniezione e l’altra: se la lesione presenta o meno segni di
essudazione abbiamo la possibilità di estendere o accorciare l’intervallo tra
le procedure. Queste strategie terapeutiche sono state applicate su tutti i
farmaci anti VEGF presenti sul mercato. Abbiamo visto, tuttavia, che i
risultati possono essere differenti. Un buon guadagno di acuità visiva si è
ottenuto, ad esempio, con aflibercept, con una media di 10,4 iniezioni in 24
mesi”. Si è osservato,
dunque, che il regime di trattamento ideale ha le caratteristiche di massimizzare
e di mantenere l’acuità visiva in tutti i pazienti, individuare
l’intervallo specifico tra i trattamenti e considerare le caratteristiche
molecolari, farmacocinetiche e farmacodinamiche del farmaco che si sta
utilizzando, sia quando si sceglie il trattamento proreattivo, che quello
reattivo. “Questi
trattamenti terapeutici, supportati dall’evidenza clinica, richiedono, tuttavia
un’organizzazione ad hoc – conclude il Professor Midena - Nel caso
specifico, il T&E ci permette di ridurre il numero di iniezioni, limitando quello
delle visite (esigenza particolarmente sentita in questo periodo di pandemia),
con il beneficio di ottenere un aumento dell’acuità visiva. Ma per poter
portare avanti questa strategia terapeutica vi è la necessità di un’organizzazione
ben strutturata del Centro specialistico di riferimento, con la possibilità di
valutare l’attività della neovascolarizzazione, praticare l’iniezione
intravitreale e programmare il trattamento successivo in base ai risultati, possibilmente
in un’unica giornata. Questo facilita la programmazione del percorso
terapeutico, adeguandolo anche alle esigenze del paziente”. Questo obiettivo
si potrebbe raggiungere più facilmente attraverso la creazione di
“Unità”dedicate alla gestione della patologia maculare all’interno delle
strutture ospedaliere dove il paziente maculopatico viene preso in carico,
potendo effettuare tutto ciò di cui ha bisogno nell’arco di una sola giornata:
dalla visita oculistica, alla diagnosi strumentale, all’erogazione della
procedura iniettiva.
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