L’ORIGINE DELLE PAROLE
ITALIANE
In
questa rubrica ci proponiamo di far conoscere
l’origine delle parole della nostra lingua. Certo sappiamo che gran parte dei termini
italiani, come quelli francesi,
spagnoli, rumeni e altri linguaggi meno diffusi,
proviene dal latino, tanto che tutte
sono definite lingue neolatine. In realtà vedremo che molti nostri
vocaboli derivano invece dal greco, dall’arabo e da altri idiomi.
Considerato
il periodo in cui stiamo vivendo,
inizieremo con delle parole che hanno a che fare con la nostra salute.
Virus
Questo termine deriva dal latino
“virus”, che ha diversi
significati, tra cui quello di “veleno”
. La sua radice però si trova nel sanscrito
“vis” che vuol dire “essere attivo, aggredire”
In certi casi era usato al posto
del più comune “venenum” per indicare un liquido particolarmente letale. Il primo ad usare questo vocabolo fu il
botanico e biologo russo Dmitri Iosinovic Ivanovskij nel 1853. Lo
scienziato stava studiando il
“mosaico”, una grave malattia del
tabacco, che colpisce anche le barbabietole
da zucchero, i piselli e i cetrioli. Essa provoca una particolare
colorazione delle foglie e un deperimento della pianta che spesso muore.
Utilizzando un filtro messo a punto da Louis Pasteur e dai suoi allievi, che
tratteneva i batteri, Dmitri dimostrò
che non erano questi microrganismi a provocare la malattia. Ipotizzò
pertanto che la causa fosse una tossina, una sorta di veleno, che chiamò appunto “virus”. Tale termine fu poi
confermato dal botanico olandese Martinus Beijerinck, che riteneva fosse
una sostanza nociva a passare dal
filtro..
Quando negli studi successivi si
scoprì che si trattava invece di particelle ultramicroscopiche, il termine
“virus” rimase.
Ci sono virus che attaccano i
vegetali, come abbiamo visto, altri gli animali
e l’uomo, e altri ancora perfino i batteri.
Fino ad ora sono stati
classificati circa 5000 tipi di virus, ma gli studiosi sono certi che ce sono
moltissimi altri ancora sconosciuti, forse nell’ordine di qualche milione.
Essi sono dei parassiti: poiché
sono incapaci di riprodursi da soli, hanno bisogno di sfruttare gli apparati delle cellule che
infettano, ma in questo modo provocano danni
di vario genere all’organismo in cui si trovano. Certo non sono tutti
altamente patogeni: alcuni danno solo sintomi molto lievi.
Anche infettare è un vocabolo latino:
“infectare”, che vuol dire grosso modo “avvelenare”. Perciò infezione sta per avvelenamento.
I virus per potersi replicare
in gran numero, hanno la
necessità di diffondersi . Ciò avviene tramite il contagio.
Contagio, contagiare
La parola viene anch’essa dal latino: “cum” con e “tangere”: toccare. Quindi: toccare con…. Questo vuol
dire che l’infezione può essere trasmessa da una persona malata ad una sana per mezzo di contatti. Essi possono essere immediati, come
darsi la mano od abbracciarsi, oppure mediati, cioè provocati ad esempio dalle
goccioline di un colpo di tosse ed anche da quelle che si emettono parlando
quando si è vicini.
Se un virus o un batterio ha una grande diffusione, si parla di epidemia.
Epidemia
Questo vocabolo deriva dal greco
“epi” che significa in, presso, presente
e “demos” popolo o popolazione. Perciò possiamo tradurre con “presente nella
popolazione”.
Se
la diffusione riguarda molte nazioni, come è avvenuto per il coronavirus, si
usa allora pandemia,
dal greco “pan”
tutto e “demos”: tutte le popolazioni.
La
“spagnola”
La
pandemia più grave che ci sia mai stata fu “la spagnola” che si verificò tra il
1917 e il 1919. Fu provocata da un
virus di tipo influenzale e causò tra i 20 e i 50 milioni di morti: qualche
ricercatore ha ipotizzato che si sia arrivati addirittura a 100 milioni. In
Italia furono tra i 350.000 e i 650.000.
L’alto numero di decessi fu dovuto
alle gravissime complicazioni polmonari
indotte dalla malattia.
Purtroppo non abbiamo notizie molto
certe, perché i giornali delle nazioni
belligeranti venivano censurati in modo
da non diffondere informazioni che potessero abbattere il morale delle truppe
già logorate da una guerra durissima.. La Spagna però era neutrale e i suoi
quotidiani ne parlarono più diffusamente
: è per questo che venne definita “la spagnola”. Comunque la pandemia si
concluse tra la fine del 1918 e l’inizio del 1919, con un drastico calo dei
nuovi casi fino ad annullarsi, probabilmente per una mutazione del virus verso
una forma più leggera.
Immune, immunità
Tutti noi abbiamo una difesa nei
confronti dei “ corpi estranei”, che entrano
nel nostro organismo, come i
virus: è il sistema immunitario. Quando esso avverte la presenza di questi “invasori”,
si mobilita immediatamente per produrre delle sostanze adatte a distruggerli e per questo si
chiamano “anticorpi”. Dopo il suo
intervento risultiamo immuni rispetto a quel tipo di microrganismi.
Ma da dove viene la parola
“immune”? Da due vocaboli latini: “in”
particella che indica negazione e “munus”: obbligo, peso. Letteralmente significa: senza un obbligo,
esente da un peso. Di solito viene utilizzata
in materia legislativo\giuridica, come quando si parla di immunità
parlamentare, ma poi il vocabolo è stato
esteso al campo medico, in cui “peso” è stato considerato nel senso di
“malattia”: perciò senza, esente da malattia.
Vaccino, vaccinazione
Qualche volta, soprattutto quando
abbiamo a che fare con un virus particolarmente aggressivo, il nostro sistema
immunitario, che ha bisogno di alcuni giorni per produrre gli anticorpi
specifici, non riesce ad evitare danni anche molto gravi al nostro organismo e
perciò le persone colpite devono sottoporsi a cure più o meno intense e
purtroppo alcuni, più fragili di altri, possono anche incorrere nella morte,
Tutto ciò può essere riferito al coronavirus,
che ci sta affliggendo ormai da mesi.
In tali situazioni occorre
aiutare il sistema immunitario affinché sia pronto a distruggere i virus appena
ci infettano: questo avviene tramite il “vaccino”. Dal punto di vista
scientifico la produzione di un vaccino è piuttosto complicata, ma per
semplificare possiamo dire che si tratta grosso modo di iniettare nel nostro
corpo copie attenuate ed innocue del virus
da sconfiggere In questo modo il sistema immunitario le riconosce e produce
anticorpi in grande quantità. Così quando arriveranno i virus attivi e
pericolosi, gli anticorpi, già pronti, li elimineranno prima che possano fare
danni.
Ma perché si chiama “vaccino”?
Il termine fu coniato in occasione della lotta contro il “vaiolo”.
Questa parola deriva dal latino
tardo “variola”, che sua volta viene da “varius” col significato di “vario,
chiazzato”.
Si trattava di una malattia che
faceva davvero paura.
I primi sintomi non erano molto diversi da
quelli di una influenza, ma poi la febbre aumentava e comparivano macchie
rosse, prima in bocca e poi su tutto il corpo. Queste si trasformavano in
vescicole purulente, che infine seccavano e cadevano. La mortalità era tra il 20 e il 30 % ed era
provocata da complicazioni polmonari o cardiache. Purtroppo però chi
sopravviveva rimaneva sfigurato per le gravi cicatrici lasciate dalle croste
che si erano staccate. Inoltre se le pustole avevano colpito gli occhi poteva residuare
la cecità.
Era un morbo molto antico: ne sono state
trovate tracce su qualche mummia egizia con la pelle particolarmente ben
conservata.
Questo tipo di virus colpiva solo
l’uomo. C’era però un vaiolo dei bovini che poteva infettare anche le persone
che erano in contatto con loro.
L’inglese Edward Jenner, medico e
naturalista, notò che le mungitrici
potevano effettivamente essere
colpite dal vaiolo
vaccino(vaiolo delle vacche) , ma la
malattia era molto leggera. Guarivano
rapidamente , senza conseguenze, ma poi
sembrava che diventassero immuni nei confronti del devastante vaiolo umano.
Jenner, per verificare sperimentalmente la sua osservazione, provò allora ad
inoculare del materiale estratto dalla pustola di una mungitrice in un bambino
di otto anni, che ebbe febbre e qualche altro sintomo, ma guarì anch’egli in
pochi giorni. Un mese e mezzo dopo il medico gli inoculò il contenuto di una pustola del
vaiolo umano e questa volta il ragazzino non ebbe alcuna reazione e non
presentò nessun sintomo della malattia. Nel 1798 Jenner pubblicò un documento
molto importante,in cui spiegava la sua tesi e le procedure da seguire.
Da allora in poi si utilizzò il
vaiolo vaccino per rendere le persone immuni a quello umano.
Naturalmente nei primi tempi ci
furono parecchie difficoltà e poi anche errori con conseguenze talvolta gravi. Nel 1800 Richard Dunning, un amico di
Jenner, propose di sostituire al posto della frase “inoculazione del vaiolo
delle vacche” il termine vaccinazione.
Inizialmente si procedeva con una
sola incisione, ma poi ci accorse che per garantire veramente l’immunità, ne
occorreva, circa due anni dopo, una seconda.
Nel corso degli anni successivi, con il grande
sviluppo della ricerca , si riuscì ad isolare il ceppo virale del vaiolo
vaccino e a liofilizzarlo. Questo
semplificò molto anche le procedure di inoculazione perché, nella grande
maggioranza dei casi, c’era una reazione
solo locale che lasciava due piccole cicatrici.
Per l’eradicazione del virus del
vaiolo, la grande differenza la fece l’organizzazione sanitaria, molto estesa e
capillare.
Intanto la vaccinazione fu resa
obbligatoria in molte nazioni. Inoltre ogni qualvolta si aveva l’informazione
di un focolaio di vaiolo, una task force di medici si recava sul posto e se si
trattava di un villaggio, andavano persino casa per casa.
Così nel 1979 l’OMS dichiarò che
il virus del vaiolo era estinto. Da anni non c’era stato più nessun caso
in tutto il mondo, come fu verificato da
una apposita commissione. Perciò le vaccinazioni antivaiolose vennero sospese.
I nomi vaccino e vaccinazione peròrimasero.
Fu Louis Pasteur. nel 1881 a proporre di onorare Jenner utilizzando questi vocaboli per qualunque sostanza fosse in grado,
in futuro, di ottenere l’immunità
nei confronti di altre malattie.
In effetti da allora di vaccini ne sono stati sviluppati
parecchi, ma è inutile citarli perché noi
tutti ne siamo a conoscenza.
Ora però è il momento del
coronavirus. Sono molti i vaccini allo
studio ed alcuni pare che siano in un avanzato grado di sperimentazione. Ci
auguriamo che ci sia davvero, certo nei tempi necessari, un vaccino efficace,
in modo che dalla “distanza sociale” si possa finalmente tornare alla
“vicinanza sociale”.