Picasso e Gaudì a Ferrara
La rosa di fuoco, o meglio La Rosa de Foc, per dirla alla catalana, per
gli anarchici indicava all’inizio del Novecento il nome in codice di
Barcellona. Nome che evoca, allo stesso tempo, il fermento che a cavallo del
secolo infiammava la vita politica, sociale e culturale della capitale catalana,
ma anche i violenti attentati dinamitardi di cui fu teatro la città.
A mutare volto e storia di Barcellona era stata, nel 1888, la grande
Esposizione universale che aveva introdotto dirompenti idee di modernità in una
capitale ancora decentrata rispetto al cuore avanzato d’Europa. Nuovi modelli
di vita, nuovo benessere e nuove visioni creative si accompagnavano
all'espansione industriale ed economica della regione.
In quegli anni a Barcellona il giorno continuava la notte e i caffè e i ritrovi
lungo le Ramblas e nel Barrio Gotico pulsavano di gente e di incontri. I poeti,
gli intellettuali, i pittori avevano base a Els Quatre Gats e da qui sciamavano
per ogni dove, spesso approdando a Parigi.
La crescita culturale ed economica della capitale catalana fu però accompagnata
da marcate tensioni sociali che nel luglio del 1909, durante quella che venne
chiamata la Settimana tragica, sfociarono in una serie di violente
contestazioni e in una cruenta repressione che decretò la fine di questa
irripetibile stagione.
Di questi anni fecondi e inquieti e della colorata, sanguigna fucina di talenti
che li animò dà conto La rosa
di fuoco, la grande mostra con cui Palazzo dei Diamanti apre la stagione
espositiva 2015-2016, firmata dalla direttrice dell’istituzione ferrarese,
Maria Luisa Pacelli.
La rosa di fuoco, ovvero l’arte e le arti a Barcellona tra 1888 e 1909,
rispecchia perfettamente la cifra culturale dei Diamanti: mostre accuratamente
selezionate, approfondite, particolari, mai banali. Rassegne che presentano in
Italia artisti straordinari ma poco frequentati (tra i tanti Reynolds, Chardin,
Zurbarán...) o snodi fondamentali della storia dell’arte da prospettive
inedite.
Anche in questa esposizione, infatti, i grandi protagonisti della storia
dell’arte sono presentati da punti di vista meno scontati: è il caso del
giovanissimo Picasso che, quantunque alle prime prove, nel giro di qualche anno
conquista la scena artistica catalana e parigina, con il tratto graffiante del
suo precoce talento. Accanto a nomi celebri, vengono proposti artisti che ai
più risultano ignoti, ma sono ugualmente di altissimo livello. Pensiamo a Ramon
Casas, Santiago Rusiñol o Isidre Nonell che, a differenza di Picasso, fecero
ritorno in patria anziché diventare astri del palcoscenico parigino.
Questa è una mostra di forti colori e forti emozioni. Si passa, non a caso, dal
caleidoscopio delle tavolozze di fine Ottocento, ai colori acidi e brillanti
delle effigi della moderna vita notturna, fino alla dominante blu dell’ultima
sala della mostra. Poiché Picasso, e con lui altri animi inquieti, scelsero
questo colore per esprimere il dolore e la solitudine che il progresso si
lasciava dietro nella sua marcia trionfante.
È una mostra che offre pittura bellissima ma che, con garbo, invita il visitatore
a soffermarsi anche sulle altre arti. L’architettura di Gaudí, naturalmente, ma
anche grafica, arredi, gioielli, ceramiche e sculture. Si tratta di aree di
approfondimento circoscritte, rispetto alla ricchezza della proposta di
dipinti, che offrono al visitatore preziose chiavi per far capire come tutte le
arti siano state percorse da un medesimo fuoco di rinnovamento, nessuna
esclusa.
Informazioni
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Ufficio Stampa
Studio ESSECI di Sergio Campagnolo
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