Situazione neve – interviene la Società Italiana di Geologia
Ambientale. Massimiliano Fazzini (Climatologo Referente Team Rischio Climatico della Società
Italiana di Geologia Ambientale): “Attenzione
perchè c’è calo generalizzato dei quantitativi stagionali di neve (di 2-3
cm/stagione) ma soprattutto del numero di giorni continuativi con permanenza
della neve al suolo. Ecco il mio, recente, inedito, studio”. “Stiamo vivendo la prima estesa
quanto moderata fase fredda dell’Inverno meteorologico 2023-24 e con essa si
stanno verificando nevicate piuttosto diffuse ed abbondanti sull’intero
territorio montano fisico nazionale, e comunque a quote non di certo
particolarmente basse o nella Val Padana. Evidentemente, dunque occorre
riflettere non poco su questo aspetto tipico della pianura e delle basse quote,
delle medie latitudini boreali invernali. La climatologia dell’Italia ci dice
che sino al termine del XX secolo, le nevicate erano modeste quanto a cumulate
ma non infrequenti sull’intera pianura padana veneta, a tutte le medie quote
collinari del centro nord oltre che sulle coste del medio versante adriatico ed
infine sui rilievi alto collinari e montuosi del Mezzogiorno e delle isole
maggiori. Ora, uno studio preliminare effettuato dallo scrivente in collaborazione
con il Servizio meteorologico dell’Aeronautica Militare, già presentato al
recente World Landslide Forum -
WLF 2023 di Firenze tenutosi nel
passato novembre e relativo al trend nivologico dell’ultimo CLINo 1991-2020, ha
evidenziato un nuovo scenario nella distribuzione spazio – altitudinale delle
cosiddetta “dama bianca”. In breve, su tutte le aree pianeggianti e collinari
del centro – nord e dei litorali adriatico-jonico, il calo nella frequenza e
nella quantità di neve fresca stagionale è divenuto talmente significativo che
non è più possibile ricavare dall’analisi dei dati una statistica soddisfacente
della variabile calo generalizzato dei
quantitativi stagionali (di 2-3 cm/stagione) ma soprattutto del numero di
giorni continuativi con permanenza della neve al suolo”. Lo ha affermato Massimiliano Fazzini, climatologo,
Referente Team Rischio Climatico della Società Italiana di Geologia Ambientale. “Inoltre alle medie quote alpine ed appenniniche –
sino ai 1500 m., e salvo rare eccezioni rilegate al medio versante adriatico e
all’area montana altoatesina - il segnale è caratterizzato da un calo
generalizzato dei quantitativi stagionali (di 2-3 cm/stagione) ma soprattutto
del numero di giorni continuativi con permanenza della neve al suolo – ha
proseguito Fazzini - spesso
dimezzato nel trentennio. Alle quote di alta montagna alpina ed appenninica,
invece, le sommatorie nivometriche stagionali sembrerebbero rimanere mediamente
costanti o addirittura aumentare nelle Alpi tridentine a fronte di una tendenza
malnota nella persistenza della neve al suolo. Certamente, vi è una relazione
statisticamente molto significative con l’andamento delle temperature, in
deciso aumento nell’ultimo trentennio, specialmente sui rilievi del nord. Ciò
si traduce in un inizio della stagione “invernale” sempre più ritardato
rispetto a mezzo secolo fa, sia in termini di prima nevicata in libera
atmosfera, sia in termini di attecchimento della neve al suolo. In particolare,
relativamente a questo ultimo punto, occorre evidenziare che anche le
temperature del suolo stanno gradualmente aumentando, con le ovvie
ripercussioni sulla presenza continuativa del manto nevoso. Allo stesso tempo,
in primavera, a fronte di nevicate spesso più abbondanti rispetto a 50 anni fa,
si evidenzia una ablazione del manto nevoso più repentina, stante l’incremento
delle temperature, molto deciso nel mese di marzo e la scomparsa del manto
nevoso stesso anche a quote molto elevate già nel merse di maggio. Logico anche
riflettere sulle conseguenze di tali nuovi comportamenti termo-nivometrici
sull’evoluzione dei sistemi climatici glaciale e periglaciale”. |